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L'Orto del Manzoni

“Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi e porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle loro foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli; là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avvitacchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendono l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone.[...]”

Alessando Manzoni, I Promessi Sposi, Cap XXXIII

 

Dalla lettura di questo brano e dalla conoscenza e passione del Manzoni per  le piante, erbe orto e per il cioccolato sono nati i cioccolatini dell’orto del Manzoni. Un ‘esperienza sensoriale che porta il lettore e il degustatore a scoprire nuove note all’interno del romanzo.

Gli allievi hanno letto, interpretato e creato queste praline. Tutti gli ingredienti ricordano il territorio di ambientazione del romanzo o il suo orto che coltivava con cura e attenzione.

Le praline sono state realizzate nell'anno formativo 2018-2019 in occasione del Maggio Manzoniano di Merate.

 

Le praline realizzate sono le seguenti:

  1. Fondente al rosmarino di Pescarenico
  2. Tartufino al fondente e rum
  3. Tartufino al latte e cocco
  4. Fondente al cedro di Colico
  5. Fondente al caffè
  6. Sfera fondente con ganache gianduia e aceto balsamico
  7. Sfera al latte con ganache al cointreau 
  8. Cioccolato al latte con nocciola selvatica dell’Adda
  9. Cioccolato bianco e uva passa del lago di Lecco
 

 

 

Seconda Edizione - a.f. 2018-2019

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